Di Sabino Lenoci
Il 5 ottobre 2019 è mancato improvvisamente per un infarto, all’età di 56 anni, il celebre tenore Marcello Giordani.
Nacque in Sicilia ad Augusta, il 25 gennaio 1963, e nel corso di una carriera, sviluppatasi per oltre un trentennio, si è imposto nei teatri più prestigiosi del mondo.
Sabino Lenoci, direttore della rivista L’opera, che gli fu amico e collaborò molto con lui, traccia un profilo dalla sua eredità artistica, ma ricorda anche l’amicizia e la collaborazione che vide Lenoci ricoprire la carica di Presidente del Concorso per giovani talenti voluto da Marcello Giordani sia in Italia che in America, dove – ricorda Sabino Lenoci – “Giordani fondò la MG Foundation e dove io stesso coordinavo tutte le iniziative musicali in quella città, New York, dove Giordani era un mito della lirica e il Metropolitan la sua casa. Il “concorso” americano oltre che a New York, lo portammo a Vero Beach, in Florida, in Nord Carolina, Charlotte, e dovunque era un successo, ovunque i fans lo festeggiavano come un vero divo”.
Marcello Giordani: tenore assoluto
La Sicilia è sempre stata prodiga di splendide voci di tenore, da Giuseppe Anselmi, che incantò il pubblico di tutto il mondo a cavallo tra Ottocento Novecento, a un mostro sacro, come Giuseppe Di Stefano, cresciuto all’ombra dell’Etna. Marcello Giordani fa parte di questa eletta schiera e può essere classificato tra quei tenori etnei che hanno contribuito in maniera significativa alle sorti del teatro lirico.
Prima di tutto la voce: schiettamente tenorile, preziosa nell’impasto, bella nel timbro, capace di una ragguardevole gamma di colori: una di quelle voci che si ricordano al primo ascolto e che si distinguono tra mille. Al suo esordio al Concorso di Spoleto del 1986 destò subito impressione e si impose all’attenzione prima della giuria e poi del pubblico. Marcello Giordani possedeva una voce ricca di vibrazione, sostenuta da un esuberante involo, sicura nel centro, ma proiettata verso l’acuto che ghermiva con foga tutta sua. Quella del tenore siciliano era un bell’esempio di quel tipo di voce all’italiana, di quelle che hanno reso la scuola latina celebre in tutto il mondo. In virtù degli splendidi doni, gli si aprirono le porte di una carriera che si rivelò subito importante. I suoi mezzi lo destinavano verso il repertorio sia che si trattasse del Rigoletto, l’opera d’esordio al Teatro Belli di Spoleto, dopo la vittoria del concorso, sia che si trattasse della Bohème, con la quale debuttò alla Scala nel 1988. Nel teatro milanese Marcello Giordani ritornò nel 1998 per Lucrezia Borgia, Gennaro, accanto a Renée Fleming e a Michele Pertusi, sotto la direzione di Gianluigi Gelmetti, poi nella Turandot del 2004, Calaf, accanto ad Andrea Gruber, diretto da Carlo Rizzi, nel 2009, solista nella Messa da Requiem di Giuseppe Verdi portata in tournée al Parco della Musica di Roma, sotto la direzione di Daniel Barenboim; infine nel 2010, protagonista con Roberto Scandiuzzi e Irene Lungu del Faust, diretto da Stèphane Denève.
Se torniamo alla voce, c’è, però, da aggiungere che si imponeva all’attenzione anche per l’estensione del registro acuto che faceva di Marcello Giordani un tenore lirico, se non lirico spinto, decisamente particolare, dal momento che era in possesso anche delle caratteristiche di un tenore contraltino. Era in grado di scalare le vette del pentagramma e di affrontare senza patemi note estreme come il do, il do diesis e il re naturale. Tra le incisioni, lasciateci dal tenore siciliano, si ascolta anche la Sortita di Ernesto, “Nel furor delle tempeste”, dal Pirata di Vincenzo Bellini, che, come tutti sanno, presenta una tessitura arditissima. Allo stesso modo Giordani è stato in grado di misurarsi con la scrittura di Gaston nella Jérusalem di Giuseppe Verdi, incisa per la Philips, risolvendo con sicurezza i passi più ardui di una parte decisamente non semplice. Così nei primi anni della sua carriera si è prodotto nel repertorio romantico, frequentando personaggi di natura diversa dall’Arturo dei Puritani, all’Edgardo della Lucia di Lammermoor, al Fernando della Favorita, al Raoul de Les Huguenots. Non dimentichiamo che all’inizio del secondo millennio all’Opéra di Parigi si è cimentato con l’Arnold del Guillaume Tell e con l’Henri de Les Vêpres sicilliennes. In ambedue i casi dimostrò di sapere onorare scrittura diverse, che impegnano il tenore sia nel registro acuto, ma che richiede anche la forza propria di un tenore eroico.
Famoso in tutti le più prestigiose ribalte italiane e internazionali, dal Covent Garden, all’Opéra, alla Staatsoper di Vienna, Marcello Giordani ha riscosso grandi trionfi specialmente negli Usa, dove non è errato affermare che è ha raggiunto una grande popolarità e dove ha incarnato il mito del tenore italiano inserendosi in una cerchia di artisti celeberrimi, da Enrico Caruso, a Beniamino Gigli, a Mario Del Monaco, a Luciano Pavarotti.
Le sue presenze al Metropolitan di New Yok costituiscono un’ottima fotografia dei vasti interessi musicali del tenore siciliano. Dopo il debutto come Nemorino nell’Elisir d’amore, sarò chiamato, tra l’altro, ad essere Calaf nella Turandot, Cavaradossi in Tosca, Don José nella Carmen, Enzo nella Gioconda, Roméo nel Roméo et Juliette, Des Grieux nella Manon Lescaut, Maurizio nell’Adriana Lecouvreur, Ernani nell’omonima opera, Gabriele Adorno nel Simon Boccanegra, Pinkerton nella Madama Butterfly, Benvenuto Cellini nell’omonima opera, Aeneas ne Les Troyens, Faust nella Damnation de Faust, il Duca di Mantova nel Rigoletto.
Si tratta di una lista impressionante che ci mostra come il tenore lirico degli esordi si era trasformato a tutti gli effetti in un tenore assoluto capace di affrontare un intero repertorio. Troviamo così Marcello Giordani impegnato in una parte da tenore eroico, quale appunto Aeneas in un’opera Les Troyens di forte concentrazione drammatica, dove Berlioz guarda allo stile dell’antico classicismo della fine del Settecento e lo fonde con quello dell’Ottocento romantico, mentre chiede al tenore involo melodico e vigorosa declamazione. Sempre nel repertorio francese eccolo cimentarsi con la tessitura, a tratti acutissima, del Faust della Damnation de Faust, ma prestare il suo canto generoso allo slancio del Roméo di Gounod e affrontare un must del repertorio, come Don José. Nella sua interpretazione di Carmen si fondono due lezioni, quella della scuola francese, che vuole il personaggio cantato con uno stile contenuto e sfumato, e quella scuola italiana, che dà dell’opera di Bizet una lettura più accesa e più impetuosa, quasi prossima al Verismo.
Marcello Giordani, peraltro, non ha mancato di onorare con la sua voce e con la sua arte la produzione naturalista. Prima di tutto vanno ricordate le sue interpretazioni pucciniane, dove si è sempre fatto valere grazie ad una musicalità contagiosa, ad un canto capace di assecondare la curvatura della melodia e di conferirle quella umana verità che a loro conviene. Così ha saputo essere un Rodolfo, ribollente di gioventù, un Pinkerton pieno di esuberanza nel I Atto della Butterfly, ma capace di conferire accorato dolore a “Addio, fiorito asilo”, di squillare con impeto eroico nel Calaf della Turandot. Non si deve dimenticare che tra le sue prove di valore al Met di New York si va annoverata anche La fanciulla del West. A questo proposito il lettore potrà guardare con profitto il dvd, che riprende il famoso spettacolo, firmato per la regia da Giancarlo Del Monaco. E sempre nell’ambito pucciniano vanno ricordate le incisioni complete della Turandot per la Decca e La Bohème per la Emi, mentre per quanto riguarda il repertorio naturalista, oltre a titoli, come Andrea Chénier, Cavalleria rusticana, Pagliacci, bisogna mettere l’accento sulla sua partecipazione alla Francesca da Rimini di Zandonai, di cui ha interpretato con successo la parte di Paolo il Bello.
Il tenore pucciniano e verista non deve farci dimenticare il contributo dato dall’artista siciliano all’interpretazione del teatro verdiano. Marcello Giordani è stato, intanto, interprete della Trilogia romantica, passando dall’ardimento lirico del Duca di Mantova, al canto commosso dell’Alfredo della Traviata, a quello più spinto ed eroico del Manrico del Trovatore: ennesima dimostrazione della sua duttilità e della capacità di dare vita agli eroi in cimiero e giustacuore a quelli che, come Alfredo, vestono gli abiti borghesi e richiedono dunque un canto più sfumato. Nella produzione degli Anni di galera, oltre ai citati titoli, Ernani e Jérusalem, vanno ricordati almeno il Foresto dell’Attila e il Rodolfo della Luisa Miller. Nella produzione matura bisogna invece notare che Giordani è stato ottimo Riccardo di Un ballo in maschera, ricordandoci con la sua interpretazione che questa parte richiede un tenore spinto di bella tempra drammatica. Non ha mancato l’appuntamento con Don Carlos. A completare il quadro di un interprete intelligente, capace di accostarsi a repertori diversi si dovrà osservare la sua partecipazione all’Evghenij Onegin dove ha offerto un Lenskij malioso o a Der Rosenkavalier, dove con la sua vocalità squillante e virile ha dato piena sostanza al Tenore Italiano che nel I Atto si esibisce nell’anticamera della Marescialla.
Viene da osservare che forse i teatri italiani, a differenza di quelli stranieri, e soprattutto delle ribalte americane non hanno saputo valorizzare Marcello Giordani come avrebbero potuto. Ci piace, qui però ricordare i suoi passaggi areniani che sono culminati nel Radamès dell’Aida, aggiungendo la sua voce e la sua presenza a quella dei mitici tenori italiani che hanno fatto la fortuna dell’anfiteatro veronese e che con la loro presenza hanno contribuito alle sorti del teatro d’opera. Ci piace infine suggerire al lettore l’ascolto delle incisioni delle canzoni della sua terra, l’amatissima Sicilia. Giordani le intonava con trasporto e con una partecipazione emotiva che sempre commuovono e che, in questo doloroso frangente, risultano l’omaggio di un figlio a cui gli dei hanno consegnato il dono prezioso di una magica voce.
A partire dall’alto:
dalla foto 5 alla 8:
Gennaro in Lucrezia Borgia al Teatro alla Scala (foto Andrea Tamoni)
foto 9:
Calaf in Turandot al Teatro alla Scala (foto Marco Brescia)
foto 10 e 11:
Faust in Faust al Teatro alla Scala (foto Brescia e Amisano)
foto 12:
Pinnkerton in Madama Butterfly all’Arena di Verona (foto Brenzoni)
foto 13:
Rodolfo ne La bohème all’Arena di Verona (foto Brenzoni)
foto 14 e 15:
Cavaradossi in Tosca all’Arena di Verona (foto Ennevi)
foto 16:
Radames in Aida all’Arena di Verona (foto Ennevi)